Le lunghe notti del nazismo

Martedì 27 gennaio, Giornata internazionale della memoria, alle 10:30 nella Biblioteca “Elisa Springer”, gli alunni del Pascal incontrano Ilva Fabiani, autrice del romanzo Le lunghe notti di Anna Alrutz.

Non c’è maggior dolore che ricordarsi del tempo felice quando si è in disgrazia. Le lunghe notti di Anna Alrutz, romanzo d’esordio di Ilva Fabiani, comincia con l’anticipazione di quel che sarà: la morte nel ’35 della protagonista, appena ventottenne. La tensione drammatica è ulteriormente accresciuta dal fatto che la narrazione, in prima persona, è di Anna stessa: a guidarci nella lettura è la sua voce, ormai dispersa nel vento dell’aldilà.

Anna, dunque, ci racconta la sua giovinezza e con essa gli anni dell’affermazione del nazismo, in particolare il decennio a partire dal ‘25. «Se ammetti la premessa maggiore e quella minore, non puoi tirarti indietro nelle conclusioni»: le diceva il papà medico quando era bambina e lei ora sa che in quella regola del sillogismo è l’orrore del nazismo. Sa che è inutile condannare il mostro quando questi scatena la propria ferocia. Ora che è nel vento sa che Hitler bisognava fermarlo prima, in corso d’opera, rifiutando con fermezza quelle premesse sbagliate che gli hanno poi consentito di maturare la sua forza di persuasione di massa.

Troppo tardi, adesso. Ricordare, sapere ora per Anna è solo soffrire, ancor di più perché lei è stata davvero felice quando da ragazza dentro di sé insieme a un amore impossibile cresceva l’ebbrezza della condivisione dell’ideologia nazista e poi quando con ferrea determinazione dopo aver abbandonato gli studi di medicina decideva di essere una «braune Schwester» e cioè una delle infermiere impegnate nel programma di sterilizzazione forzata delle donne ritenute per malattie ereditarie o disturbi mentali inidonee a procreare.

Com’è potuto accadere? Il romanzo d’esordio di Ilva Fabiani è una coraggiosa ricognizione narrativa dell’antefatto della tragedia provocata da Adolf Hitler e dal suo partito. Troppo allettante la loro promessa di ordine e disciplina per cuori fragili e impauriti che si credevano o avrebbero voluto essere forti, e Anna ora lo sa: come tanti tedeschi in quel momento storico, anche lei era così.

Aveva bisogno di sentirsi sicura di poter badare a se stessa e provvedere agli altri, perché sua madre e poi anche la sorellina erano affette da una grave malattia polmonare. Aveva bisogno di credere di poter fare a meno dell’amore dopo l’assurda infatuazione giovanile al tempo delle estati magiche nella località termale di Bad Salzgitter dove la madre e la sorellina curavano il proprio male. Il professor Hartmann, che guidava la clinica ginecologica dell’università di Gottinga e che tante donne aveva salvato grazie alla sua scienza, con quel programma di perfezionamento della razza le offriva la certezza di un bene superiore oltre ogni dubbio e debolezza. La “soluzione finale” di ogni problema personale di equilibrio psicologico.

In una pagina del romanzo, da un mazzo di fiori che ha appena avuto in dono la signora Hartmann recide due o tre corolle lievemente appassite e soddisfatta esclama: «Ecco, senza questi,  ora è perfetto». Anna che dall’aldilà ci racconta la sua breve vita e ricorda quel momento non sa perdonarsi d’aver creduto anche lei che bastasse un colpo di forbici per eliminare le proprie paure mentre – così facendo – si consegnava “perfetta” nelle mani del lupo. E con lei tanti altri.

Ilva Fabiani è docente di Lingua italiana all’università di Gottinga. Le lunghe notti di Anna Alrutz è un’opera d’esordio molto coraggiosa perché unisce ricchezza stilistica e raffinata capacità di approfondimento della vita interiore della protagonista alla rigorosa documentazione storica della poco nota vicenda della sterilizzazione forzata di 787 donne nella clinica di Gottinga.

 

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