Oggi, Roma ha visto una manifestazione imponente organizzata dai sindacati Fim, Fiom e Uilm, con lo sciopero generale del settore automotive che ha coinvolto migliaia di lavoratori. Al centro della protesta, il futuro di Stellantis e delle aziende della componentistica, messe in crisi dalla drastica riduzione della produzione in Italia e dal crescente ricorso agli ammortizzatori sociali. I lavoratori chiedono investimenti concreti e strategie industriali che tutelino l’occupazione, non solo negli stabilimenti Stellantis ma anche in tutta la filiera produttiva.
La situazione è particolarmente preoccupante perché, nonostante la transizione ecologica verso l’elettrico, le fabbriche italiane sembrano sempre più marginalizzate. Stellantis ha delocalizzato una parte significativa della produzione verso altri paesi europei, lasciando gli stabilimenti italiani con capacità produttiva ridotta e migliaia di posti di lavoro a rischio. Questo non riguarda solo i dipendenti diretti, ma anche l’indotto e le piccole aziende che forniscono componenti, molte delle quali già in difficoltà.
I sindacati accusano Stellantis di non aver mantenuto gli impegni presi e il governo di non aver messo in campo politiche industriali efficaci. La richiesta principale dei lavoratori è chiara: serve un piano strategico che guardi oltre gli incentivi all’acquisto di veicoli, che finora non hanno portato benefici alle fabbriche italiane. Chiedono investimenti veri, mirati a preservare i posti di lavoro e a garantire una transizione ecologica che non comporti ulteriori chiusure di impianti.
Questa manifestazione non è solo una protesta contro Stellantis, ma un atto d’accusa verso un sistema industriale italiano che sembra perdere competitività e verso la mancanza di una visione chiara per il futuro del settore automotive.
Dal mio punto di vista, ciò che colpisce è il divario tra il potenziale della transizione ecologica e la sua gestione attuale. Mentre la produzione di veicoli elettrici dovrebbe rappresentare una grande opportunità di rilancio, assistiamo invece a una fuga di capitali e competenze dal Paese. Questo sciopero è un segnale forte: l’Italia ha bisogno di una nuova strategia industriale che sappia coniugare innovazione e tutela del lavoro, senza lasciare indietro i settori tradizionali come l’automotive. Se non si interviene subito, rischiamo di vedere interi settori produttivi crollare, con conseguenze devastanti per l’occupazione e l’economia nazionale.