Tra le notizie più recenti, spicca il nome della giovane Mahsa Amini,
picchiata e arrestata dalla polizia locale perché dal velo si intravedeva una
ciocca di capelli.
Mahsa Amini è stata arrestata il 13 settembre mentre era in vacanza a
Teheran con la sua famiglia, a causa, secondo la polizia locale, della
mancata osservanza della legge sull’obbligo del velo in quanto esso non
era ben aderente al volto e mostrava parte della chioma della giovane
donna.
Dopo l’arresto è stata condotta presso una stazione di polizia per una
“lezione di rieducazione” su come indossare lo hijab.
Mahsa Amini il 16 settembre è in seguito deceduta in circostanze ignote,
dopo tre giorni di coma, suscitando indignazione.
Secondo fonti attendibili, la ragazza presentava ferite causate da
pestaggio, nonostante la polizia abbia continuato ad attribuire la sua
morte a un infarto. Testimoni hanno affermato che la ragazza aveva
sbattuto la testa dopo essere stata aggredita, causando probabilmente
un’emorragia cerebrale.
La sua morte è diventata simbolo di violenza contro le donne della
Repubblica islamica e ha dato vita a diverse proteste e indagini
approfondite sulle cause della morte della ragazza.
Amnesty International, associazione fondata da Gino Strada, ha richiesto
l’abolizione della legge che obbliga le donne a portare il velo sul capo.
Numerose donne, popolari, attrici e modelle, si sono tagliate, in segno di
solidarietà, una ciocca dei capelli in pubblico e sono stati pubblicati diversi
video sui social media.
Le donne iraniane sono regolarmente oggetto di molestie verbali e
aggressioni fisiche da parte della polizia e delle forze paramilitari: ricevono
minacce e insulti, vengono afferrate per le braccia, schiaffeggiate in faccia,
colpite con pugni e spinte violentemente contro furgoni della polizia.
Lo testimonia la storia di Nasrin Sotoudeh, coraggiosa difensora dei diritti
umani, condannata a 38 anni e 148 frustate per aver difeso una donna
arrestata per aver manifestato contro l’obbligo per le donne iraniane di
indossare il velo.
Mahsa, Nasrine tante altre: nomi di donne e di vite spezzate, vittime di un
asfissiante fondamentalismo religioso e di un sistema di potere patriarcale.
Ma anche simbolo di una ribellione animata dalle donne che ormai
trascende la questione femminile.
La vicenda di Mahsa e delle altre donne iraniane, oltre ad aver funzionato
da innesco per un’insofferenza popolare che ha radici ampie e profonde, è
la rappresentazione di una questione simbolica molto forte. Innanzi tutto
della discriminazione femminile nella società iraniana: «Le donne in Iran
sono discriminate nei loro diritti. Ad esempio, in caso di eredità, ricevono la
metà di quello che ricevono i fratelli maschi; la loro parola davanti a un
giudice vale la metà di quella di un uomo; e valgono la metà anche nei
casi di risarcimento economico per ferimenti o morte violenta, e così pure
nel percorso verso il divorzio e per la custodia dei figli».
I media e i movimenti occidentali stanno seguendo costantemente la
situazione, cercando di dare voce alla dissidenza. Non è chiaro quanto il
governo possa resistere alla pressione della piazza e dell’opinione pubblica
internazionale.
La vicenda di Mahsa è la rappresentazione di una questione simbolica
molto forte. Innanzi tutto della discriminazione femminile nella società
iraniana: «Le donne sono discriminate nei loro diritti. Ad esempio, in caso di
eredità, ricevono la metà di quello che ricevono i fratelli maschi; la loro
parola davanti a un giudice vale la metà di quella di un uomo; e valgono la
metà anche nei casi di risarcimento economico per ferimenti o morte
violenta, e così pure nel percorso verso il divorzio e per la custodia dei figli».
Purtroppo in Iran e non solo, sono tanti i casi di donne che subiscono
violenza di ogni genere.
L’Iran, dopo la Cina, è uno dei paesi che maggiormente applica la pena di
morte.
Infatti l’Iran ha messo a morte nel solo 2008 almeno 346 persone, tra cui
otto minorenni al momento del reato, con metodi che comprendono
l’impiccagione e la lapidazione.
Altrettanto diffusa è la repressione del dissenso pacifico e le limitazioni
della libertà di espressione e di associazione.
Numerose leggi autorizzano la calunnia, la diffamazione di funzionari statali,
e ad altri aspetti della libertà di espressione per perseguire i dissidenti,
soprattutto coloro che cercano di promuovere e proteggere i diritti umani.
Le punizioni per tali ‘reati’ vanno dalla carcerazione, fustigazione e
imposizione di multe, alla condanna a morte in alcuni casi.
Amnesty International ha più volte denunciato il ricorso alla tortura e altri
maltrattamenti, facilitati da detenzioni preventive prolungate e dal diniego
di accesso a un avvocato e alla famiglia. Diffusa è la pratica degli arresti
arbitrari eseguiti spesso da agenti in borghese che non si identificano e
non presentano un mandato ufficiale; in alcuni casi, i detenuti sono portati
in luoghi segreti prima di essere trasferiti in prigione.
Le donne in Iran subiscono discriminazioni per legge e per prassi e chi si
batte per difendere i propri diritti si trova a subire vessazioni, intimidazioni e
altre violazioni dei diritti umani.
Amnesty International e altre 42 organizzazioni non governative hanno
chiesto al Consiglio Onu dei diritti umani di agire con urgenza rispetto alla
crisi in corso in Iran. Data la gravità dei crimini di diritto internazionale e
delle altre violazioni dei diritti umani e la prevalente sistematica impunità, le
43 organizzazioni hanno anche chiesto l’istituzione di un meccanismo
indipendente che abbia poteri d’indagine, di documentazione e di
accertamento delle responsabilità.
Del Mastro Maria Francesca
classe III B
Giovane donna iraniana uccisa, non indossava correttamente il velo…@Del Mastro Maria Francesca
